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Casa al Portonaccio

Portonaccio.
Originaria campagna dell’agro romano.
Resti di importanti sepolcri. scalo ferroviario poi.
Immagini ardenti di Pasoliniana memoria e fervido sviluppo urbano.
Edifici dal carattere popolare. densità abitativa.
Ora più che mai area integra nella città di Roma.

In questo contesto, in un edificio di nuova costruzione, si inserisce l’interno di un duplex.
Qui prevale il carattere, la forza, la determinazione contrapposte alla leggerezza e alla duttilità di una vita in divenire: quella di un giovane meno che trentenne.
Qui v’era un’antica fabbrica del ghiaccio.

L’innesto è il focus: un setto attrezzato continuo, in ferro crudo e legno, pensato come raddoppiamento dei muri si dirama sui tre assi spaziali per ispessire la consistenza di uno degli elementi primari della costruzione. Ridonare preziosità alla struttura tramite setti aggiunti, che si condensano, si allentano, si stringono attorno, si riaprono e poi si estendendono: sincroni, invertiti, alterni, che racchiudono, schiudono e raccolgono l’intimità di questa casa: i setti sono elementi diafani per vedere, intravedere, celare, scoprire, raddoppiare: un guardaroba, un ingresso, un corridoio, una grande cucina, una libreria.

L’abitante di questi spazi è un giovane in costruzione, una vita in divenire, l’essere vuole manifestarsi ma anche nascondersi e sentirsi protetto. E’ una casa in bilico tra sicurezza e avventura.
Qui e ora tutto possible: per questo è un interno nudo, materico ove l’elemento primario è il limite, inteso come demarcazione di un confine o di un angolo. Il ferro, crudo, duro, e il legno, nobile, duttile, si compensano nel carattere e attraversano tutti gli spazi; si attribuiscono i reciproci destini in una partitura ritmica e dialogano sincroni rivelando la loro essenza. E così come in una partitura musicale minimalista la serialità apparente restituisce, seppur in minimi cambiamenti, l’unicità e l’irripetibilità del singolo dettaglio.

L’angolo, pensato come nodo, emerge da un disegno mai marginale ma vivo, designato e riabitato.
Così come nella scala: i due snodi, alla partenza e all’arrivo, grevi, materici - a terra in legno e totalmente in ferro al solaio - leggero è invece il percorso lineare dei gradini a sbalzo al centro.
E’ possibile avere due diverse visioni: nella vista dal basso la struttura scheletrica in ferro, mentre dall’alto il corpo, tutto, legno e ferro, nella sua pienezza. Un continuo pensare a tre dimensioni, concentrate sui limiti dell’angolo, rarefatti dagli specchi ma allo stesso tempo generatori di inaspettate illusioni ottiche. Il soffitto in legno rispecchia il disegno del pavimento e riporta il passo di suddivisione del contenitore.
La sensazione è di straniamento e riscoperta dello spazio, un rimettersi in gioco ritornando in angolo, al limite - così come nel gioco del calcio - per poi ripartire dallo stesso.

Un nastro continuo, battiscopa e poi corrimano percorre la scala finendo per ancorarsi al solaio e configura una protezione che allude alle corde di un boxe ring.
Nella camera padronale la posizione dell’armadio, centrale, fisso, divide e scherma lo spazio intimo, creando diverse funzioni: una parte percorso e contenitore, l’altra testata del letto e server.

La pavimentazione in rovere è disegnata per mettere in evidenza i percorsi dell’abitante lungo i setti di ferro; le grandi finestre incorniciate per introiettare e poi restituire scoperta e stupore del paesaggio urbano. Sono spazi fluidi, slegati dai modelli precostituiti o superati.
Accorgimenti che accompagnano l’esistenza dell’uomo che abita il contemporaneo..

©2025 Nicola Auciello Architetto - Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma sez. A  n.16392

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